Alla ricerca del tempio perduto: Beng Mealea e Rolous Group

Missione del giorno: esplorazione ad ampio raggio.

Scortati dal nostro fido driver i nostri eroi cercheranno di arrivare al Beng Mealea, un tempio esterno ai circuiti di Angkor Wat. Questo, nelle  intenzioni,  dovrebbe consentirci di godere di qualche piacevole scorcio delle campagne locali, cosa che solletica il nostro animo bucolico e grufolante.

Qualche scorcio… molti scorci… una scorciatoia? Ma dove diamine siamo?!
Sono due ore che giriamo per strade secondarie sterrate e deserte. Il nostro fido driver ci guarda sornione e sorride.

Ok, ci siamo persi!

Quello che inizialmente poteva essere un dubbio da occidentali malfidati diventa certezza al terzo contadino che viene fermato per chiedere informazioni. Tre camionisti e un motociclista dopo, arriviamo finalmente alla strada principale e (finalmente) a destinazione.

La prima cosa che facciamo è ovviamente cercare la toilet. Dopodiché ci dedichiamo alla visita, non senza aver astutamente aggirato una mezza dozzina di stand di souvenir con annessa commessa d’assalto. Grido di battaglia “Madaaaam”. Potenza: un fragore da mille decibel classe Mazzinga!

20181029_103630I nostri iniziali propositi di non trovarsi in un tempio nelle ore più calde, però, si sono letteralmente persi per strada. Beviamo più acqua noi che benzina una Ferrari. Il Beng Mealea per nostra fortuna si rivela un tempio fresco e anche un tantinello paludoso, come ci dimostra la fauna che zampetta tra l’erbetta. Sopravviveremo nonostante il clima avverso e il territorio ostile. I battaglioni di moscerini non ci avranno.  Le scorte di repellente fanno il loro porco dovere.

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Tra nuvole di citronella chimica e sudore ci apriamo la strada su un percorso di passerelle in legno dalla logica ignota e finiamo per trovarci a rimirare l’infinito su quello che doveva essere un muro di cinta del tempio, sotto lo sguardo divertito di un anziano sorvegliante saldamente appostato sull’amaca di ordinanza. Quando scendiamo, il baldo giovanotto ci sorride e ci chiede di dove siamo. “Oh Italy! Ciao!” Ci saluta fiero. Rispondiamo con un sorriso anche noi. Lui almeno non ci ha chiesto se siamo spagnoli. L’onore è salvo.

Ma un solo tempio in una giornata è una ben magra conquista! Forti della nostra determinazione e di una buona dose di crema solare costringiamo il  nostro non proprio convinto chauffeur a portarci anche a vedere i templi del gruppo di Rolous. L’operazione sembra parergli superflua, tanto che più volte inizierà a cantilenarci “temple, temple”, stupito forse dal nostro stacanovismo turistico e dalla nostra inflessibilita nell’evitare la trappola della bevanda con ghiaccio.

I due templi minori Preah Ko e Lolei, sono carini, ma effettivamente poco imponenti e anche trasandati. In uno veniamo addirittura incastrati in una specie di visita a una scuola nel tentativo di chiederci la solita donazione alla fine. Il ragazzo che ci aggancia parrebbe pure uno studente volontario, ma la sensazione di essere visti  come portafogli  con le gambe è disturbante. Il dubbio che i pargoli siano usati come specchietto per le allodole lo è ancora di più. Prendiamo il volantino dell’ONG di turno  con scarsa convinzione e ci allontaniamo riservandoci improbabili operazioni di intelligence, sia mai che sia una ONG di quelle vere.

L’ultimo tempio del trio, il Bakong, è invece molto più  interessante e ci accoglie proprio nelle ore in cui la luce ed i colori sono più belli. È un  tempio con struttura a montagna, ergo…tocca salire. Ormai ci siamo abituati. Qui o sali, o saltelli tra i pietroni sconnessi o ti destreggi su precarie strutture in legno degne della palestra di Kung Fu Panda.20181029_154434 Scarpinare fino alla cima è la solita faticaccia su scalini improbabili, ma tornare a riposarsi all’ombra dei tamarindi prima di ripartire ci lascia un certo senso di soddisfazione.

Missione compiuta. Si torna alla base.